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Spazio Zen - Giugno 2022

Gianni Zen
Gianni Zen
30 agosto 2022
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Spazio Zen - Giugno 2022
Oramai i dibattiti televisivi assomigliano sempre più ad una arena. E non luoghi di produzione, se così posso dire, di conoscenza, di opinioni incrociate e dunque verificabili. E perciò, in questo caso, utili per lo spettatore.

No, conta lo spettacolo, e lo scontro è una forma di spettacolo, sempre più fine a se stesso. Dunque di audience, il vero motore, perciò di pubblicità, essenziale per la sopravvivenza.

In soldoni, non si discute, ma ci si azzanna.

Queste trasmissioni sembrano cioè sempre più una appendice dei social.

Basta seguire, per un po’, certi personaggi, ed i commenti, con i like e le faccine, per capire il valore ma soprattutto il limite di queste forme di comunicazione.

Luoghi nei quali il reale ed il virtuale si sovrappongono e si confondono, ove non si pongono più domande per sapere, secondo metodo e merito, ma solo strumenti per vedere all’opera l’ego degli opinionisti, la loro aggressività, specialisti in alcuni casi di frammenti di sapere, ma raramente capaci di guardare oltre il proprio frammento. Tutti a produrre analisi, ma in difficoltà a fare sintesi.

Nemmeno i filosofi chiamati in causa, oramai effige di se stessi, cioè dimentichi dell’arte del pensare, del filosofare. Più che filosofi, dei sofisti.

Uno spettacolo, per qualcuno, nello spettacolo, si potrebbe concludere, ma uno spettacolo amaro.

Trasmissioni che fanno solo da pendant ad altre trasmissioni con cosiddetti vip al centro dell’arena.

Tutti immolati, tutti strumenti dell’apparire fine a se stesso, dunque come sospesi tra il fluttuare delle brevi e fatue stagioni del nostro odierno vivere e convivere. Indifferenti al valore delle parole ma, prima ancora, al cammino dì sofferenza della cosiddetta “gente comune”. La quale vorrebbe, da chi si vanta di titoli più o meno accademici, solo di un po’ di buon senso.

Lo studio, l’approfondimento, l’analisi il più possibile oggettiva, l’incrocio delle informazioni, il confronto su metodi e contenuti, il parlarsi rispettoso e riconoscente verso chi ci può aiutare a capirci dì più?

Quasi tutto tempo perso, tempo vuoto.

Ma lo stesso tempo non ammettendo vuoti, non sembra più in grado dì offrire alternative a questo svuotamento.

E spegnere di tanto in tanto tv e social e scegliere altre modalità di uso del nostro tempo?

Difficile alzare la testa, complicato mettere in tasca il cellulare o spegnere la tv o il computer.

Ci vuole forza autonoma, coraggio di dire basta, sensibilità a guardarsi attorno, vigilanza per cogliere e condividere questa fatica, questa sofferenza che ci impedisce di mandare all’aria questi modi di bruciare la vita, di svuotare quel tempo che ci viene donato ogni giorno.

Perchè la vita è un dono, la salute è un dono, e la salute non è solo quella del corpo, anche il talento è un dono.

E se sono un dono non vanno sprecati, bruciati sull’altare del niente.

Quando ci accorgiamo che la vita è un dono? Quando ci viene tolta o limitata o resa difficile.

Allora non resta che rendersene consapevoli, ognuno assumendosi le proprie responsabilità.

Non fermandosi al chiacchiericcio, ma studiando, confrontatosi in modo pacato, sapendo che nessuno ha la verità in tasca. E che, soprattutto, la verità è sempre criterio di se stessa.

Perchè la verità esiste, ma si rivela in ogni momento, per qualsiasi questione, solo attraverso lo spirito di ricerca, non di possesso.

Che cosa facciamo a scuola con i bambini ed i ragazzi se non testimoniare questo spirito della ricerca?

Per cui anche gli specialisti, di qualsiasi disciplina, sono tenuti a proporre le proprie conoscenze e competenze non come saperi assoluti, ma come frutto sempre fragile di un percorso, secondo metodo e merito.

Ed il dialogo tra specialisti e specialismi può trovare un senso non attraverso lo scambio di mere parole, nemmeno di soli risultati, ma, prima ancora, attraverso l’incrocio delle domande che sono alla base di quei risultati, sempre parziali e relativi.

Senza confondere relatività e relativismo, che sarebbe già ammettere che non c’è nessuna verità da ricercare e comunicare.

Perchè dire che “tutto è relativo” è presupporre che almeno una cosa relativa non-è, cioè che tutto sia relativo. Come il gatto che si morde la coda della nota canzone di Gaber. Ma un gatto che non sa che la coda che sta mordendo è la sua.

Quindi, il compito del ricercare, oltre le nostre opinioni, rimane responsabilità quotidiana di ciascuno, nel rispetto dei propri percorsi.

Se questo è, allora i dibattiti potranno diventare forieri di cammino della conoscenza anche per lo spettatore. E non spettacolo fine a se stesso.

Come pensiamo di formare cittadini alla libera valutazione, essenziale in democrazia, con queste esibizioni da circo?

Come possiamo pretendere che i bambini ed i ragazzi possano confrontarsi in casa e con gli adulti, se ci limitiamo a queste scorribande verbali?

Perchè i conduttori non sottoscrivono un codice etico per aiutarsi a non inseguire chi insegue la baruffa fine a se stessa? L’audience, alla lunga, diventa non una opportunità, ma un peso, costringendo lo spettatore non-tifoso ad abbandonare la tribuna, cioè a cambiare canale o a spegnere la tv.

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L'autore

Gianni Zen

Gianni Zen, laureato in filosofia, ha dedicato la sua vita professionale alla scuola, prima come docente e poi come dirigente scolastico in importanti scuole del vicentino quali l’Istituto Rossi di Vicenza e il Liceo Brocchi di Bassano. Sotto la sua guida il liceo bassanese ha conosciuto una crescita repentina fino a diventare il secondo istituto d’Italia per numero di ragazzi frequentanti. Persona estremamente attiva, è da sempre sostenitore di una grande riforma del mondo della scuola. In “Spazio Zen” dirà la sua su temi di attualità legati al mondo della scuola e del lavoro.