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Spazio Zen - Giugno 2023

Gianni Zen
Gianni Zen
29 maggio 2023
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Spazio Zen - Giugno 2023
Sono gli ultimi giorni di scuola. E in tutti vi è la consapevolezza di essere riusciti, nonostante mille difficoltà, a portare in porto la barca della formazione e del suo sottofondo educativo. Non sono le difficoltà del tempo del covid, perché la scuola è ritornata a pieno regime, però sappiamo bene che qualche strascico questi tre anni l’hanno lasciato. Per cui, trovare in questo contesto la giusta misura non è sempre facile. Un grazie corale, dunque, ai docenti, ai presidi e al personale, ma anzitutto agli studenti e ai loro genitori. Un fine d’anno scolastico che va vissuto con un grande respiro, che dica un’aria capace di non ripiegarsi su se stessa, viste le tante indagine sulla svolta narcisistica di questi nostri tempi. Una svolta dovuta non solo al post-covid o alle notizie sulla tragedia ucraina, ma a una insicurezza generale che non aiuta più a capire chi siamo, quali possano essere le relazioni di auto-aiuto, secondo quelle scelte che siano foriere di speranza e di pensiero positivo. Perché, lo sappiamo bene, non si vive di solo presente, del vecchio a male interpretato “carpe diem”. Insomma, oggi i cuscinetti di sicurezza con cui eravamo abituati a gestire le nostre giornate ora non sono più scontati. I punti fermi del nostro modo di vivere e pensare, cioè, non sono così ovvii. Finito dunque il tempo del “villaggio globale”. Che solo l’illusione ottica della tecnologia crede ancora attuale, mentre sappiamo essere solo virtuale. Finisce la scuola, dunque, ma la domanda di futuro è tutt’altro che scontata. La scuola, perciò, è sempre meno parentesi della vita, quasi una sua ovattata rappresentazione, ma è vita a tutto tondo. Per i mille intrecci e rimandi. Perché questo fa la scuola, assieme alle famiglie, accompagnare la crescita di bambini, ragazzi, giovani verso un futuro, il quale è un enigma da sciogliere giorno dopo giorno. Secondo forme di maturazione, si spera, sempre equilibrate, creative, positive. Oggi si crede, mi permetto di insistere, che ciò che non fa il passato (o la cosiddetta tradizione) riesca a farlo la tecnologia, con tutta la serie di innovazioni che stanno segnando il nostro quotidiano. Quasi a dire che ciò che la realtà non garantisce più, è comunque il virtuale a supplire o a reinventare. Ma il virtuale, appunto, non è il reale, nonostante voglia essere letto come una sua proiezione. E questo è il vero punto critico di questi nostri tempi iper-tecnologici. Punto critico che ritroviamo nel rapporto o nesso tra mezzi e fini. Perché le tecnologie, come tutti gli strumenti, non sono dei fini, mentre il rischio dei nostri giorni è proprio questo, che i mezzi, e la loro utilizzabilità, diventino fine a se stessi, e non al servizio delle persone e delle reti di relazioni. In termini formativi, che non si traducano in apertura mentale di pensiero pensante. Se consideriamo, a esempio, i risultati degli ultimi anni sui processi cognitivi dei nostri ragazzi e adolescenti troviamo diverse criticità sui loro percorsi di conoscenza e di maturazione formativa a tutto tondo. Cosa abbiamo a esempio imparato dalle vicende di questi due anni e mezzo, oltre alla rivoluzione digitale degli ultimi decenni? Abbiamo imparato che nessuna tecnologia sostituirà mai il ruolo del docente e della vita di classe. Non sempre però ce ne rendiamo conto. Anche la scuola italiana da un po’ di anni sta inseguendo questa nuova stagione, con investimenti di non poco conto, sulle strutture e sulla formazione. Tante scuole si sono rifatte il look, con mille corsi e corsetti per chicchessia, con soldi Pnrr, ma non sempre consapevoli che, al dunque, l’atto formativo bypassa gli strumenti, per toccare comunque sempre, anzitutto, il cuore delle persone, dei ragazzi e dei docenti, come dei genitori.
Oggi c’è molta frenesia, cioè, sugli strumenti. Quasi ideologica, da parte dei nuovi profeti del “tutto tecnologia”. Mentre il cuore formativo pulsa, al dunque, solo quando si trasforma in “pensiero pensante”, non timoroso delle nuove sfide culturali e psico-sociali. Mi verrebbe da aggiungere: sfide spirituali. Basta vedere i nostri ragazzi come crescono con pane e cellulare, ma anche noi stessi, incapaci di staccarci, per un attimo, dai nostri aggeggi elettronici. Tutti sempre connessi, forse per paura di ritrovarci soli a reggere la scorza dura della realtà. Per questo rischio dell’eterna connessione, perché troppe volte senza relazione, abbiamo bisogno di una scuola che sia sempre altro dagli strumenti, seppur sempre più raffinati. Per quello sfondo educativo che ci vede tutti coinvolti, non solo i bambini e gli adolescenti, in ragione di una responsabilità di crescita aperta, creativa, equilibrata, secondo talento, capacità e preparazione di base. Non è forse vero, sentendo ad esempio tanti adolescenti, che sono aumentate le difficoltà di concentrazione a scuola, con una immagine della vita di classe che troppe volte sembra essere una replica della DaD, di una connessione ancora virtuale, sul piano delle socialità? Un punto sul quale dovremo tornare, finita la scuola, e a mente fredda. Qui non si tratta di fare voli pindarici o di aprire il libro dei sogni, ma di proporre un vero aggiornamento, centrato sul cuore della formazione, che è il pensiero pensante, personalizzato ma relazionalmente aperto. Le persone, cioè, al centro. E le persone non sono un mero, come si suol dire, capitale umano, per le tante implicazioni del nostro esserci. Sono sempre di più e oltre. Il problema rimane dunque legato alle persone, al loro esserci, per tutte le età e tutti i contesti. E tutti si devono far persuasi, a partire da bambini, ragazzi e giovani, che anche la tecnologia va pensata, cioè mediata. Dunque non subìta. Perché internet e questi aggeggi spingono fortemente sulla via della percezione frammentaria, immediata, ma facendo correre a tutti il rischio reale, al tempo stesso, di togliere spazio al cuore del nostro vissuto e delle nostre relazioni, cioè alla mediazione dell’intelligenza, cioè alla regia della propria e comune coscienza. Non ci possono essere formazione e cultura senza la mediazione dell’intelligenza, per cui nessuna tecnologia sostituirà mai il ruolo del docente in classe. Cambierà la modalità di questa presenza, ma, direttamente o indirettamente, sarà comunque insostituibile. Le stesse tecnologie, in fondo, sono e rimarranno sempre degli strumenti, dei meri strumenti.

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L'autore

Gianni Zen

Gianni Zen, laureato in filosofia, ha dedicato la sua vita professionale alla scuola, prima come docente e poi come dirigente scolastico in importanti scuole del vicentino quali l’Istituto Rossi di Vicenza e il Liceo Brocchi di Bassano. Sotto la sua guida il liceo bassanese ha conosciuto una crescita repentina fino a diventare il secondo istituto d’Italia per numero di ragazzi frequentanti. Persona estremamente attiva, è da sempre sostenitore di una grande riforma del mondo della scuola. In “Spazio Zen” dirà la sua su temi di attualità legati al mondo della scuola e del lavoro.