CULTURA
A tu per tu con Toni Zarpellon
Anna Zaccaria
30 agosto 2023Le foto per le copertine di Occhi di settembre sono state scattate nelle Cave di Rubbio rese famose alla fine degli anni 80 grazie all’incredibile opera dell’artista originario di Nove, Toni Zarpellon.
Dal 1 gennaio del 2018 sono abbandonate, la natura se ne sta riappropriando ma quello della “Cava dipinta” e della “Cava abitata” rimane uno dei progetti artistici italiani più innovativi e ammirati degli ultimi anni.
500 mila visitatori, migliaia e migliaia di dediche, riflessioni, complimenti e critiche raccolti in oltre 70 grossi album nei 29 anni di apertura.
Per anni la “Cava dipinta” e la “Cava abitata” sono state teatro di spettacoli estivi per bambini, concerti, manifestazioni culturali, messe. Sono state sfruttate gratuitamente come spazi scenografici per fini pubblicitari e commerciali.
Ma da cosa è nato tutto questo?
Chi è Toni Zarpellon?
Incuriosita sono andata a casa sua per conoscerlo e per farmi raccontare la storia del suo progetto e il motivo dell’abbandono.
Il suo studio è in un cascinale nelle colline di San Benedetto a Marostica, un luogo dalla vista bellissima, immerso nel silenzio armonioso che solo la natura riesce a regalare.
Mi trovo di fronte un uomo dagli occhi vispi, attento. Prima di questa intervista non conosceva Occhi, gli porgo una copia, la sfoglia con attenzione, riconosce fra le pagine l’amico Costenaro…
Non si può non rimanere rapiti dal suo mondo. Un tavolo pieno di libri e fogli di carta finemente lavorati, penne, matite colorate,… alle pareti libri, quadri, tantissimi oggetti,… e lui seduto pronto a scambiare riflessioni sull’arte, la vita... fra una sigaretta e l’altra.
Per l’intervista mi consegna dei documenti da lui scritti con le sue riflessioni, “qui troverai tutto quello che ti serve sapere su di me”, mi dice, poi comincia a raccontarmi dei sui pensieri e delle sue continue ricerche sul senso dell’arte.
Le cave sono state concepite da Toni per una sua necessità interiore spinto dal bisogno liberatorio e di rinascita senza pensare ai possibili applausi e riconoscimenti. “… Le Cave sono una sorta di mie cavità mentali da dove sono emerse energie latenti e represse prendendo forme plastiche di teste umane e animali suggerite dalla casualità dei massi di pietra.”
Quell’esperienza artistica è finita il 31 dicembre 2017. Il lavoro era iniziato nell’autunno del 1989 ed è durato ben 28 anni, con continue manutenzione per tenere puliti e in ordine i luoghi. La chiusura e l’abbandono di quei luoghi ha rappresentato per l’artista uno strappo psico-fisico lacerante, costringendolo ad entrare in un nuova dimensione spazio-temporale per dare inizio ad un nuovo percorso di vita, un ritorno nello studio, con un senso di solitudine molto forte, dopo anni di incontri quotidiani con il pubblico, che ha imposto un nuovo modo di concepire l’arte e il suo ruolo sociale.
Toni Zarpellon è artista e pensatore lucido, alla ricerca di un senso sul suo essere e così dopo aver letto le sue riflessioni scritte fitte sulle 7 pagine consegnatemi ho pensato che il modo migliore per descriverlo sia quello di far parlare i suoi stessi pensieri.
Riflessioni dell'artista:
RIFLESSIONI DOPO LE CAVE DI RUBBIO
È dal 1# gennaio del 2018 che ho concluso la mia esperienza delle “Cave di Rubbio”. Lavoro che è iniziato nell’autunno del 1989 e che mi ha tenuto impegnato per ben 28 anni. Ciò che ho fatto è ben documentato dai cataloghi e dalle varie pubblicazioni su riviste, giornali e mensili di vario genere. Con la chiusura e l’abbandono delle “Cave di Rubbio” ho vissuto un strappo psico-fisico lacerante. E’ come se fossi stato catapultato in una nuova dimensione spazio- temporale dalla quale iniziare un nuovo percorso di vita. Ho tagliato il cordone ombelicale che mi teneva legato e quindi dipendente da una sorta di grembo materno protettivo e rassicurante rispetto al resto del mondo. Dall’alto della montagna lo contemplavo come qualcosa di estraneo da me. Il ritorno al mio studio, la solitudine che ho provato dopo lunghi anni di comunicazione con migliaia di persone, mi hanno imposto di rivedere il mio modo di concepire l’arte e il suo ruolo sociale. Dopo i miei interventi nello spazio aperto della natura ho dovuto incominciare tutto da capo disegnando nello spazio di un foglio bianco di carta. Un radicale capovolgimento e ridimensionamento che mi ha imposto di ripensare la destinazione dell’oggetto artistico. Esso deve diventare parte integrante della vita delle persone entrando nei luoghi dove esse abitano. Quindi dalle cave abitate alle case abitate. Non che questo non fosse venuto anche prima ma ora deve diventare una scelta definitiva. Di una cosa sono certo: i grandi cambiamenti interiori e il conseguente cambiare il punto di vista sulla realtà del mondo, passano attraverso crisi profonde procurando smarrimento e angoscia da mettere in discussione il senso stesso della vita.
Capisco la disperazione di tanti artisti che di fronte alla crisi alla solitudine che ne consegue, hanno abbandonato le proprie ricerche visive. La mente, che è un prodotto del nostro cervello, può giocare strani scherzi. E’ una vita ormai che mi interrogo sulla sua continua evoluzione in un’alternanza di chiusure e aperture alla ricerca di qualcosa che sempre sfugge . Un qualcosa che mi dia la certezza di essere consapevoli di me stesso. Tutto il mio percorso artistico a partire dalla crocifissione dalla macchina del 1965 sta lì a dimostrarlo. Ebbene, l’ultimo passaggio estetico esistenziale venuto con la chiusura e l’abbandono delle “Cave di Rubbio”.
Ricominciare in che modo e da dove? Dalla centralità del mio corpo nello spazio dopo anno in cui ho vissuto come un elastico teso come nel letto di Procuste.
Lentamente sto ritornando in sé eliminando tutti i tentacoli che lo tenevano dipendente dal mondo esterno.
Sento il bisogno di silenzio di rilassamento emotivo per riscoprire rapporti umani di un dare e ricevere senza ricatti o pressioni paralizzanti.
Ho profondo rispetto e gratitudine per tutti coloro che nel corso degli anni hanno scritto e parlato del mio lavoro: critici d’arte, filosofi, poeti, giornalisti che da formazioni culturali diverse si sono interessate le mie ricerche visive interpretandole. Penso che siano siamo cresciuti insieme parlando e discutendo di arte, delle condizioni umane in un periodo storico come il nostro per certi versi così inquietante.
il potere della parola è immenso e può decidere il successo o meno di un artista. Ma un’opera d’arte ha un valore intrinseco aldilà che se ne parli o no. Tuttavia ogni cosa è destinata ad essere giudicata dalla nostra mente come atto di libertà e quindi di conoscenza. C’è da dire che se l’oggetto di da giudicare non ha una sua autonomia, diventa alienato dal giudizio. Se non ha una sua identità e dignità da contrapporre al giudizio stesso che varia quante sono le menti giudicanti. Piano piano mi sono immerso nella voragine del mio vissuto. Un vissuto nel vortice di esperienze tese alla scoperta di qualcosa all’esterno da me e che ora mi sono chiare nell’essere state di una delirante vitalità.
Esperienze vissute come un errante nello spazio e nel tempo altrove sfiorando persone e cose svuotate nella loro consistenza oggettiva. Questo viaggio immaginifico si è concluso con le “Cave di Rubbio” facendomi toccare terra e sentirmi parte integrante della felicità e realtà del mondo.
Che piacere rivedere con mente autonoma le cose le persone vicino a me chiamandole per nome e ristabilire un rapporto di comunicazione autentica.
I mezzi di comunicazione di massa vomitano in quantità inaudita informazione e immagini privi di concretezza. Sono fantasmi che si impongono ma che svaniscono rapidamente senza lasciare traccia di sé alimentando vana gloria e illusione di notorietà che si trasformano in frustrazione e solitudine. Sul davanzale della finestra e in altri posti del mio studio si trovano vari vasi di fiori di diverse dimensioni. Essi contengono ciclamini, margherite, gerani, viole e piantine con foglie sempre verdi. Non che in passato non li avessi visti insieme assieme agli altri oggetti ma ora li rivedo con uno sguardo nuovo più consapevole.
Un flusso di nuove energie ha iniziato a sprigionarsi deala mia mente. Energia resa visibile disegnando manualmente usando le matite colorate in attesa di altre tecniche di volta in volta necessarie per meglio dire ciò che si agita dentro di me. Guardando negli abissi del mio vissuto ricordo gli anni della mia infanzia, della mia adolescenza. Gli anni trascorsi nelle istituzioni pubbliche prima come allievo poi come insegnante. Di molte persone conosciute mi sono rimasti impressi i loro volti, i loro comportamenti. Di altre vaghe umbre fugaci e indistinte. E poi le tante mostre dei miei quadri, disegni e sculture ansioso di consensi e riconoscimenti. Scontri culturali, polemiche, invidie, ostracismi, tradimenti, successi, crisi, entusiasmi e tanta fatica per muovermi Inter regno insidiosi resi asfittici da più interessi dove ognuno deve dettare le proprie condizioni un continuo gioco al massacro più che a reciproci riconoscimenti.
Come ogni storia, anche la storia dell’arte è fatta di violenze e terrore e chi riesce a imporsi acquisisce potere e con esso successo e denaro. In tutti questi anni ho viaggiato molto visitando alcune grandi città italiane ed europee. Ho avuto modo di vedere collezioni pubbliche d’arte antica e moderna. Grandi maestri del passato naturalmente tutti morti e pochissimi quelli moderni ancora in vita. Possibile che si celebrano solo i morti? Forse perché non possono più ribellarsi alla stupidità dei giudizi nei loro confronti? Chilometri di tela dipinta, montagne di marmo scolpito, tonnellate di bronzo fuso, migliaia di oggetti costruiti con vari materiali: il tutto mi passa davanti con un Olimpo di divinità alcune mitizzate adorate altre insignificanti e noiose.
Innamoramenti giovanili vengono rinnegati, si rovesciano i giudizi di valore. In questo periodo vorrei lasciarmi alle spalle tutta la cultura accumulata per liberarmi dalle incrostazioni che si sono formate e depositate nel mio cervello. Certo, la cultura mi ha aiutato a crescere, a plasmare una coscienza critica riguardante i linguaggi dell’arte e non solo, con il rischio però di impedirmi di trovare il mio.
Ora, ricordando tutto ciò che ho vissuto, mi aiuta a svuotare il cervello da tutti i condizionamenti subiti per far emergere la mia quintessenza.
Lo spazio si sta riempiendo del tempo facendolo dilatare in una luce sempre più intensa dove gli ho getti trovano il loro posto senza più confliggere fra di loro. Tutto ciò è il risultato di un processo di chiarificazione interiore dove il dentro il fuori si fondono in una nuova energia positiva.
Che difficile stare bene con se stessi e dare un senso e consapevolezza alle nostre azioni nella costante interazione con le persone e le cose! ciò implica autonomia di giudizio e capacità di discernimento. Dopo lunghi anni di frenetico e drammatico lavoro di ricerca visiva, sto rivedendo e mettendo in discussione il modo in cui ho vissuto il mondo dell’arte e della cultura. Un modo che doveva concludersi con il giro di boa delle “Cave di Rubbio” con il conseguente mutamento antropologico nello scoprire la una nuova dimensione mentale e fisica. Penso ciò derivi per aver tagliato tutti i tentacoli che mi tenevano dipendente al mondo esterno.
Proporsi e non vendersi è il modo più corretto per rendersi visibili affinché gli altri possano o meno aderire e riconoscere le proprie idee. In tutti questi anni ho esposto i miei quadri e disegni in molte mostre personali e collettive con l’urgenza di comunicare con le forme e i colori. Linguaggio che si è evoluto con estrema coerenza sia pur nella varietà delle tecniche usate che nelle soluzioni linguistiche.
Alcuni miei lavori fanno parte di collezioni pubbliche e molti appartengono a collezioni private che si sono formate fin da quando ho cominciato a farmi conoscere.
In questo periodo di solitudine silenzio rivedo tutte le mie inquietudine, tutto l’affanno angoscioso che per ribadire la mia presenza nel mondo convinto che l’arte potesse dare un significato alla vita e contribuire a migliorare la società.
Sono stanco di vedere il male che regna nel mondo, per le barbarie compiute dell’uomo, per la cecità mentale con cui egli agisce. Sarà mai possibile una nuova rinascita come inno alla vita? Penso sia l’unica alternativa che rimane per non cadere nel baratro sempre più profondo del quale non riusciamo più a riemergere. Negli ultimi settant’anni si sono succeduti in un drammatico conto alla rovescia, correnti artistiche e mode culturali dove ognuno pretendeva di avere la risposta risolutiva al problema del linguaggio visivo come bisogno collettivo.
Si è creato un sistema dell’arte che avvolto nelle sue spire artistici, critici, galleristi, collezionisti comunicatori mediatici. Un attivismo delirante per restare a galla ma che già da tempo manifestava stanchezza per essere consapevole di aver perso il collegamento con la cultura in generale e diventare pura autoreferenzialità.
In questo periodo penso i miei quadri, disegni, sculture che si trova nelle varie collezioni formatesi negli anni. Sono “oggetti significativi” che documentano i vari momenti del mio itinerario artistico. Essi parlano del mio linguaggio che può essere interpretato in vari modi. Un’opera d’arte se è tale deve stimolare il giudizio come atto di libertà. Ogni fruitore reagisce in rapporto alle emozioni che l’opera può suscitare siano essi di adesione o di repulsione.
La critica d’arte, una volta ricevuta l’informazione visiva, la razionalizza per tradurla in un giudizio di valore. Oggi mi sembra si muova con più prudenza nel formulare tali giudizi. Nella maggior parte dei casi si limita a registrare le esperienze estetiche con intenzioni cronachistica più che storicizzanti. Se è vero che la storia cammina sulle gambe della cronaca, è anche vero che i fatti di cronaca devono decantarsi per riuscire a capire sotto le forche caudine del tempo, se hanno contribuito all’evoluzione del sapere umano.
Un continuo fuoco d’artificio amplificato dai media, si traduce in un rumore assordante dove difficile individuare punti fermi di riflessioni intorno a cui far crescere un rinnovato sguardo sulla realtà del mondo. Si continua a muoversi su già detto e il già fatto che trattiene e immobilizza. La grandi crisi economico-sanitaria causata della pandemia sta intaccando, oltre il sistema dell’arte, anche la certezze del trionfalismo industriale e consumistico già in discussione con le conseguenze nefaste sull’ambiente.
Il ricorso sempre più accelerato allo sviluppo tecnologico quale panacea di tutti mali sta costringendo l’uomo a vivere in uno spazio sempre più artificiale.
Per tutti questi motivi sembra sia finita un’epoca e co essa anche il concetto stesso di estetica come scienza dell’espressione. Nella storia sono stati i grandi capovolgimenti politico sociali che hanno imposto agli artisti di rinnovare linguaggio visivo.
Piccoli gruppi di avanguardia che hanno anticipato i tempi osteggiati dei passatisti e dal consolidato potere accademico e istituzionale. Da sempre mi sono trovato a confliggere con un mondo e una società che non mi piaceva. Deve il rischio di essere omologato mi ha imposto una resistenza e una deliberata marginalità per evitare un’ipocrita pacificazione in cambio di onore e vantaggi economici. E questo per trovare dentro di me le ragioni del mio lavoro. Finora solo in questo modo ho potuto dare il meglio in una costante tensione verso l’assoluto che vuol dire sciolto da ogni legame.
Mi guardo indietro nel tempo e penso le tante persone conosciute per vari motivi e in occasioni più disperate. Sono state loro, nel bene nel male, a darmi conferma di esserci in un costante rapporto dialettico a volte aspro e conflittuale altre volte cordiale e collaborativo.
Chi fa attività pubblica come l’artista che espone i propri lavori, è consapevole di entrare nell’arena che è il campo di battaglia dove si confrontano e si scontrano vari contendenti ognuno dei quali cerca di difendere e imporre le proprie convinzioni o presunte verità. In tutti questi anni ho allestito e gestito le tante mostre fatte in varie città. Trasporto dei lavori in macchina o con i corrieri che mi hanno sempre creato problemi per quanto riguarda la puntualità delle consegne. La stampa dei relativi inviti, delle locandine dei numerosi cataloghi. Continui viaggi diurni e notturni per prendere visione degli spazi espositivi che avrebbero dovuto ospitare le mie opere. E poi l’incontro con i critici d’arte, con i giornalisti e i media in genere. E’ stato un lavoro massacrante vissuto con l’ansia di far conoscere le mie ricerche, di propormi per ottenere riconoscimenti o sperare in qualche articolo, recensione sulla stampa. Il tutto accompagnato da una strana solitudine mitigata dall’attenzione di qualche amico persona via via conosciuta con la quale ho avuto un intenso scambio culturale. E adesso?
Mi trovo in studio con centinaia di quadri, disegni e sculture. Che cosa ne faccio? Dovrei venderli affinché ogni acquirente li appenda nelle pareti della propria casa. Ma se nessuno li vuole?
Potrei regalarli come a volte ho fatto. Ma il vero riconoscimento per un artista è quando viene pagato per quello che fa e che dà perché anche lui deve vivere con tutto ciò che ne consegue. Inoltre deve procurarsi pagando tutto ciò che gli serve per potersi esprimere.
Troppe persone vedono il lavoro di un artista come qualcosa di “inutile”, che non serve, che se ne può fare a meno perché non dà risposte ai bisogni materiali. Senza capire o meglio lo capiscono senza ammetterlo, che l’uomo non è solo un tubo digerente ma una complessa fusione di materia e spirito, che la materia ha un’anima. E l’arte ha il compito di rendere visibile questo aspetto imprescindibile dell’uomo.
Mi sono sempre chiesto come mai i bambini imparano prima a disegnare che a scrivere. Per lo stesso motivo mi sono chiesto come mai uomo delle caverne dipinto sulle pareti rocciose prima di scoprire il linguaggio della scrittura. il problema non cambia. E’ la necessità di oggettivizzare “i fantasmi“ della propria mente per meglio conoscersi prendendo coscienza del senso dell’esserci dove anche la fisicità del proprio corpo acquista significato vitale .
Il computer e la stampante 3D, gli algoritmi dell’intelligenza artificiale legate a robot sono la nuova frontiera tecnologica sempre più invasiva a cui fanno ricorso molte attività umane al fine di rendere più efficiente e razionale il lavoro.
Sembra un processo irreversibile nella convinzione che l’uomo farà sempre meno fatica mentale e fisica sostenuto da precisi calcoli economici nel valutare costi e benefici.
E’ vero che la tecnologia nel corso dei secoli h permesso all’uomo di fare cose meravigliose ma è anche vero che oggi si sta trasformando in potere tecnocratico che non accetta mediazioni o essere messo in discussione. Consapevole di ciò, io rivendico e difendo la mia libertà di ricerca visiva usando tecniche e strumenti artigianali dove il tempo e lo spazio sono vissuti come pure categorie mentali per una possibile rinascita e uscire dall’inferno di questo drammatico periodo storico.
Per questi motivi mi considero un artigiano della mente come mi hanno già definito.
Non si tratta quindi di un atto nostalgico nei confronti di una civiltà artigianale soppiantata da quella industriale. Si tratta semmai di rianimare i sensi e i ritmi biologici del corpo umano dopo che questi sono stati bloccati e mortificati dalla razionalità asettica dell’efficientismo ipertecnologico. Riscoprire l’umidità della vita e con essa la consapevolezza della morte significa riconoscere il proprio limite affinché la vita possa continuare sul pianeta Terra .
Toni Zarpellon, 9 giugno 2021
L'autore
Mille cose da fare ma non si tira mai indietro, troppo buona ma con grinta da vendere. Amante dei numeri, Anna è una vera esperta delle logiche e stratega del web marketing. Ha maturato una lunga esperienza nella gestione di progetti complessi di comunicazione digitale, mirando sempre alla concretezza e ai risultati.