CULTURA

Il mezzo e il fine - Spazio Zen - giugno 2025

Gianni Zen
Gianni Zen
30 maggio 2025
CONDIVIDI:
Il mezzo e il fine - Spazio Zen - giugno 2025
Giugno, nel mondo della scuola, è il mese degli scrutini e degli esami.
Si tirano un po’ le somme di un anno dal punto di vista scolastico, ma, direi, ancor prima dal punto di vista della crescita e della maturazione personale di bambini, ragazzi, giovani. comprese ovviamente le famiglie. 
Se la vita di classe a scuola ha significato educazione umana e relazionale, sullo sfondo della formazione culturale, ad ognuno spetterà poi il compito, piccoli e grandi, di capire il valore e forse anche il limite di questa esperienza. Rispetto alle attese, alle speranze, ai desideri, alle difficoltà, anche alle fragilità.
Tutta scuola di vita, mi verrebbe da dire.
Ripeto, sul piano personale e relazionale, ma anche su quella della crescita culturale. Perché la scuola è scuola. E il valore degli insegnanti è quello di lasciare, appunto, il “segno”.
Per questa ragione la valutazione funale è a più risvolti, ma è sul percorso culturale che è chiamata ad incentrarsi negli scrutini ed esami, anche se negli ultimi decenni gli aspetti di crescita, comprese le fragilità, di bambini e ragazzi hanno ricevuto un’attenzione prima non considerata.
Non esiste più, cioè, la scuola nella quale tutti “zitti e buoni”, come cantava la celebre canzone, ci si limitava a ripetere in modo passivo la lezione d’autorità del docente. Per lo più mnemonica.
Il contesto oggi è invece tutto diverso. E la prospettiva odierna è quella della vita di classe come sì di studio e di approfondimento. Ma secondo il metodo di una libertà che si rapporta alla domanda di verità di conoscenze, teorie, fatti, documenti, rappresentazioni. Cioè la scuola è ricerca, anche faticosa, di comprensioni di facce della realtà sempre diverse. Cosa sono nella sostanza le diverse materie e i tanti indirizzi di studio?
Mentre i social sono il regno delle mille opinioni, che troppe volte si credono verità, la scuola invece è luogo della fatica dello studio, della bellezza dell’approfondimento, si spera fondato e argomentato.
Per favorire la partecipazione sono fondamentali gli aspetti relazionali ed educativi. E per questi aspetti la scuola sa di avere bisogno delle famiglie.
Qui la scuola non può prendere del tutto il loro posto e dei contesti sociali. Ha bisogno, per essere efficace, di sentire le famiglie al proprio fianco.
Trovare la giusta misura non è sempre facile. 
Ho parlato anche di contesto sociale, per le tante notizie di cronaca che ci ricordano ogni giorno casi con protagonisti adolescenti in situazioni difficili, se non di vera violenza.
Il patto educativo tra scuola e famiglia va dunque sempre tenuto presente.
Il governo, per questi casi, ha previsto una stretta sulla condotta. Ma sappiamo che a poco servono le norme se manca la sostanza, cioè la significatività delle proposte, compreso il coraggio dei sì e dei no, della richiesta che facciamo tutti del senso del limite, segno visibile di una crescita equilibrata.
Non possiamo dunque pretendere, lo ripeto ancora, che la scuola sostituisca la famiglia, che predichi in classe determinati valori di convivenza, un certo gusto per la fatica della conoscenza se poi a casa non ci sono le stesse parole d’ordine, un certo stile relazionale, la sempre preziosa testimonianza che deriva dalla coerenza dei comportamenti.
Di fronte a queste incongruenze la scuola può far poco, se non ricordare, appunto, le difficoltà.
Ci diciamo spesso che è il villaggio che educa, ma sempre partendo dalle famiglie.
Auguriamo a tutti i bambini e ragazzi, e alle loro famiglie, che vivano questa fine di anno scolastico con un grande respiro, che dica un’aria capace di non ripiegarsi su se stessa, viste le tante indagini sulla svolta narcisistica di questi nostri tempi. Una svolta dovuta non solo al post-covid o alle notizie sulla guerra in Ucraina o sull’infinita tragedia di Gaza, ma ad una insicurezza generale che non aiuta più a capire chi siamo, quali possano essere le relazioni di auto-aiuto, secondo quelle scelte che siano foriere di speranza e di pensiero positivo. Perché, lo sappiamo bene, non si vive di solo presente, del vecchio a male interpretato “carpe diem”. Insomma, oggi i cuscinetti di sicurezza con cui eravamo abituati a gestire le nostre giornate ora non sono più scontati. I punti fermi del nostro modo di vivere e pensare non sono così ovvii. Finito dunque il tempo del “villaggio globale”. Che solo l’illusione ottica della tecnologia crede ancora attuale, mentre sappiamo essere solo virtuale. Finisce la scuola, dunque, ma la domanda di futuro è tutt’altro che scontata. La scuola, perciò, è sempre meno parentesi della vita, quasi una sua ovattata rappresentazione, ma è vita a tutto tondo. Per i mille intrecci e rimandi. Perché questo fa la scuola, assieme alle famiglie, accompagnare la crescita di bambini, ragazzi, giovani verso un futuro, il quale è un enigma da sciogliere giorno dopo giorno. Secondo forme di maturazione, si spera, sempre equilibrate, creative, positive. Oggi si crede, mi permetto di insistere, che ciò che non fa il passato (o la cosiddetta tradizione) riesca a farlo la tecnologia, con tutta la serie di innovazioni che stanno segnando il nostro quotidiano. Quasi a dire che ciò che la realtà non garantisce più, è comunque il virtuale a supplire o reinventare. Ma il virtuale, appunto, non è il reale, nonostante voglia essere letto come una sua proiezione. E questo è il vero punto critico di questi nostri tempi iper-tecnologici e pieni di solitudini. Punto critico che ritroviamo nel rapporto o nesso tra mezzi e fini. Perché le tecnologie, come tutti gli strumenti, non sono dei fini, mentre il rischio dei nostri giorni è proprio questo, che i mezzi, e la loro utilizzabilità, diventino fine a se stessi, e non al servizio delle persone e delle reti di relazioni. In termini formativi, che non si traducano in apertura mentale di pensiero pensante. Se consideriamo, a esempio, i risultati degli ultimi anni sui processi cognitivi dei nostri ragazzi e adolescenti troviamo diverse criticità sui loro percorsi di conoscenza e di maturazione formativa a tutto tondo. Cosa abbiamo a esempio imparato dalle vicende di questi ultimi anni, oltre alla rivoluzione digitale degli ultimi decenni? Non ci inquieta tutti vedere file di ragazzi che, pur assieme, in realtà sono ognuno col proprio cellulare in mano? Non inquieta anche notare che ci sono genitori che regalano ai propri figli a soli sette o otto anni un cellulare? Non rendendosi conto che regalano un bomba ad orologeria, se non li accompagnano ad un uso equilibrato, quando ne saranno capaci? Non sarebbe bene mantenere il limite dei 13 o 14 anni per questo regalo, e poi accompagnarli, e non abbandonarli a se stessi?
Intanto a scuola abbiamo imparato che nessuna tecnologia sostituirà mai il ruolo del docente e della vita di classe. Non sempre però ce ne rendiamo conto. Anche la scuola italiana da un po’ di anni sta inseguendo questa nuova stagione, con investimenti di non poco conto, sulle strutture e sulla formazione. Tante scuole si sono rifatte il look, con mille corsi e corsetti per chicchessia, con soldi Pnrr, ma non sempre consapevoli che, al dunque, l’atto formativo bypassa gli strumenti, per toccare comunque sempre, anzitutto, il cuore delle persone, dei ragazzi e dei docenti, come dei genitori.
Oggi c’è molta frenesia, cioè, sugli strumenti. Quasi ideologica, da parte dei nuovi profeti del “tutto tecnologia”. Mentre il cuore formativo pulsa, al dunque, solo quando si trasforma in “pensiero pensante”, non timoroso delle nuove sfide culturali e psico-sociali. Mi verrebbe da aggiungere: sfide spirituali. Basta vedere i nostri ragazzi come crescono con pane e cellulare, ma anche noi stessi, incapaci di staccarci, per un attimo, dai nostri aggeggi elettronici. Tutti sempre connessi, forse per paura di ritrovarci soli a reggere la scorza dura della realtà.

Ti piacciono i nostri articoli? Iscriviti alle nostre migliori uscite.

Inserisci un'email valida

Siamo in continua evoluzione con il nostro Occhi Magazine; se hai domande o suggerimenti, non esitare a contattarci!

Seguici su Facebook, Linkedin, Instagram e Twitter.

Condividi:

L'autore

Gianni Zen

Gianni Zen, laureato in filosofia, ha dedicato la sua vita professionale alla scuola, prima come docente e poi come dirigente scolastico in importanti scuole del vicentino quali l’Istituto Rossi di Vicenza e il Liceo Brocchi di Bassano. Sotto la sua guida il liceo bassanese ha conosciuto una crescita repentina fino a diventare il secondo istituto d’Italia per numero di ragazzi frequentanti. Persona estremamente attiva, è da sempre sostenitore di una grande riforma del mondo della scuola. In “Spazio Zen” dirà la sua su temi di attualità legati al mondo della scuola e del lavoro.