Sono due le fiction, soprattutto, che nelle scorse settimane hanno maggiormente attirato giudizi e valutazioni non benevoli di molti spettatori e critici di mestiere.
Parlo in particolare della serie “M. il figlio del secolo”, tratta dai romanzi di Antonio Scurati, e delle due puntate su Leopardi, per la regia di Sergio Rubini.
Grottesca la prima, caricaturale la seconda: queste, tra tutte, le parole scelte da Aldo Grasso, noto critico del Corriere e docente alla Cattolica di Milano.
Mi permetto di proporre, in questa occasione, più che un rimbocco ulteriore a queste prese di posizione una considerazione sul valore di questi progetti di divulgazione della storia italiana.
In altre parole, propongo di vedere queste proposte da una diversa angolazione, come occasioni per l’approfondimento personale.
Sì, anzitutto personale. Se il caso, ridiscutendo scelte e interpretazioni, invogliati a prendere in mano testi e documenti, per andare al cuore di pagine che sono dentro, da sentieri diversi, la nostra storia.
Una storia nazionale, ma con significati universali. Sul piano politico e su quello esistenziale.
Per il fascismo, con lo scopo di arrivare alla domanda centrale: se vi sia un limite all’agire politico, dato dal “principio di persona”. In poche parole: se il potere sia o non sia fine a se stesso, prima ancora dei contenuti, in qualsiasi forma si costituisca.
Per Leopardi, se la ricerca di senso della vita si lasci o meno appagare dalla mera sopravvivenza, cioè dalle mezze verità. Perché tra le mezze verità alla fin fine il vero non-senso è che domini il “solido nulla”. Per questa ragione Giacomo è sempre stato il poeta di tutti, soprattutto degli adolescenti. Una sensibilità che non si lascia liquidare dalla solita accusa di pessimismo. Troppo comoda.
Insomma, anche due serie televisive possono diventare importanti e utili, in ragione delle domande (e risposte) che fanno nascere in ciascuno di noi.
Sulla figura di Mussolini, la serie ci ha costretto a un’analisi più informata della storia italiana del ‘900; e su Leopardi, ci ha fatto intuire quel pensiero poetante che ritroviamo nei Canti, nelle Operette Morali, nel grande Zibaldone.
L’auspicio, quindi, è che si traducono negli spettatori in un dialogo franco e libero, cioè cultura a tutto tondo.
Insegnando un metodo di ricerca aperto e disponibile ad altre esperienze, ad altri momenti, forme, personalità.
Quando questi autori e argomenti si studiano a scuola, non sempre gli studenti si lasciano catturare dallo stupore di quelle domande ulteriori. Che sono il sale della nostra terra.
No, in molti casi, solo quando la scuola è finita che si riscoprono temi e suggestioni. Solo allora si comprende quanto tempo in gioventù è stato bruciato per studiare solo per il voto, solo per mettere una “X” nella tabella delle interrogazioni fatte, pratica da archiviare nel percorso verso la promozione. Solo alla fine della scuola, magari anni dopo, si inizia a intuire l’importanza di certe proposte.
I migliori insegnanti si notano qui, nel fatto che non si limitano solo a ripetere concetti e programmi, senza dare valore assoluto al voto come registrazione di una performance, ma investono nella cultura del domandare, diventando, agli occhi dei bambini, degli adolescenti e dei giovani, dei veri “maestri”. Cioè suscitatori di coscienza.
Le serie televisive, lo sappiamo, hanno il vincolo dello share.
Quindi devono adottare un linguaggio il più popolare e attrattivo possibile.
Ma la scuola è altro. Deve aiutare a masticare, e la vita di classe è un laboratorio dove si sperimentano letture diverse, guidati dai testi e dalle inevitabili domande.
E lo deve fare, la scuola, per qualsiasi argomento. Perché tutte le materie sono culturali, se fatte bene. E non c’è differenza tra filosofia, meccanica, informatica, economia, dal punto di vista di questa “masticazione” culturale. L’importante è che questa avvenga, senza ridursi al vecchio imparare a memoria solo per il voto. Che è la morte dell’intelligenza e della coscienza.
Con gli anni, finito l’iter scolastico, tutto questo si comprende meglio. Soprattutto in un mondo segnato dall’imperativo di questa nostra epoca: la cosa più importante è “imparare a imparare”, quindi imparare al domandare senso e valore in ogni direzione di ricerca. Per rispondere in modo pensato e coinvolgente e sempre aperto.
Per chiudere, anche un film, anche delle fiction possono diventare vere forme di cultura.