CULTURA

Tramaccioni all’amatriciana.

Marco F. Zonta
Marco F. Zonta
28 luglio 2023
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Tramaccioni all’amatriciana.
Avete presente il tenente Colombo della Tv? Ecco, io di fronte a un fatto storico che mi “puzza strano” uso il suo stesso sistema d’indagine: ci penso e ripenso, vedo il “fatto” da varie angolazioni, faccio congetture, supposizioni, e infine cerco le prove. Alcune verità, lontane dai testi scolastici, e pressoché introvabili anche nei testi universitari, le scovo a volte negli archivi sotto due dita di polvere o scritte in altri idiomi, perlopiù francesi e inglesi. Beh, uno dei temi che mi ha sempre interessato enormemente è stato quello di “come i miei antenati 157 anni fa, hanno deciso di perdere la loro millenaria nazionalità veneta per diventare “Italiani”, o meglio... sudditi del neonato Regno d’Italia”.
Premetto che dopo la caduta della Repubblica Veneta nel 1797, e un brevissimo periodo di dominazione austro-francese, una parte delle Venezie, l’attuale Veneto, è stato governato dagli Asburgo d’Austria per mezzo secolo. Poi nel 1866 (contro il Diritto Internazionale di allora) ecco entrare di scena l’esercito del neonato Regno d’Italia. I libri di scuola da 150 anni ci dicono che dopo aver combattuto e vinto i “cattivi” Austriaci, i “buoni” Savoia hanno fatto votare le genti venete e che queste per il 99,99% hanno chiesto di entrare nel regno del nuovo Re piemontese. Beh ragazzi, a me sta cosa ha sempre puzzato.
L’altro giorno disteso sul sofà, davanti alla televisione spenta, mentre ci stavo riflettendo con in mano il libro di Beggiato (1866: la grande truffa), e aver chiuso per qualche istante gli occhi, ho sentito la voce profonda di Antenore, nobile cavaliere troiano, risuonare da dentro il cervello.
“Ah quante baeote che i ve ga contà de quea volta!” Fa il mio spirito-guida sospirando.
 “Eccoti qua!” Dico io sorridendo. “Con chi ce l’hai stavolta? Con Vittorio Emanuele II di Savoia e il Referendum del 1866?”
“Beh, a lu’ miga ghe piaxeva tanto farse ciamar a l’italiana.” Mi risponde. “Pa i amighi xera Victor Emmanuel de Savoie. Pò queo no xe miga stà un Referendum, caro da Dio. Xe stà un Plebiscito.”
“Beh Referendum e Plebiscito sarà circa la stessa roba no?” Rispondo leggero.
“Dai Zonta, no sta far el mona. Che se xera a stesa roba no i a ciamava in do modi diversi.” Ride. “Dai verxi a aplicasion de Google che te ghe sul serveo e varda a diferensa tra Referendum e Plebiscito.”
“Dunque”. Faccio io un attimo dopo. “I princìpi del Referendum sono la Personalità, l’Individualità e la Segretezza del voto, mentre nel Plebiscito... nel Plebiscito non è contemplato nessuno dei tre! Cioè vuoi dirmi che...”
“Che en el 1866 quea specie de votasion xera sta organizà, gestia e controlà da l’esercito de i Savoia. Che i ga votà soeo el 26% de a popoasion e sensa un vero controeo internasionae, xa che i registri i gestiva i stesi piemontesi, e... par via dea segretezza...” Ride. “Seto come funsionava? No ghe xera cabine eletorai. Par votar ghe xera l’obbligo de pronunciar el proprio nome a voxe alta. Po i te dava dò schede de color diverso, uno pa el No e uno pa el Si, che po’ te dovevi consegnàr a un funsionario de l’esercito occupante. Un po’ come se oncò en Afganistan davanti a na commissione de Talebani co el mitra a tracoea te vegnese domandà publicamente se te si o no a favore de n’altra bea ocupasion americana. Te poi dir de sì, certo... ma no credo sia tanto salutare.”
“Ma il Plebiscito lo avevano fatto appena 6 anni prima in SudItalia.” Rispondo. “E anche lì tutti volevano essere italiani, o no?”
“Rispondeghe ti Toni.” Fa Antenore a un tipo spettinato con gli occhiali alla John Lennon: è Antonio Gramsci.
“Con l’invasione del Regno delle 2 Sicilie (avvenuta sempre contro tutti i principi del Diritto Internazionale) da parte dei Savoia.” Risponde l’intellettuale comunista. “I popoli meridionali, dopo il massacro di centinaia di civili per mano di 500 bersaglieri reali a Pontelandolfo (BN) nell’agosto del 1861, avevano capito di aver solo tre possibilità: piegare la testa ai nuovi dominatori, migrare nelle Americhe o creare contro quel nuovo occupante piemontese un’organizzazione segreta, feroce e ben radicata nel territorio: la mafia. L’ho scritto nel 1920 sull’Ordine Nuovo «Lo Stato Italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti»”.
“Morae dea favoea... El Re de Savoie, co i so bei tramacci, se xà en el 1860 gaveva stravinto en el Sud co el 99,6% de i voti, en el 1866 en el Veneto ga vosuo far ncora meio e autociaparse parfin el 99,9%, che gnanca Mao, Hitler e Stalin i se ga mai sognà de vinsare en un modo evidentemente tanto fasullo.” Ride con la bocca storta. “Ma questo xe comunque quel poco che i te conta i libri de a scoea. A storia xe sta diversa.”
“In che senso?”
“El Plebiscito del 21 otobre, per quanto farloco, xera comunque inutie fin da l’inisio. El Veneto xera xà sta pasà de man ai Savoia xà dò giorni prima.” Mi fa con un giornale in mano. “Lexi sto trafiletto dea Gazzetta di Venezia”.
«Questa mattina, in una camera dell’albergo Europa si è fatta la Cessione del Veneto». Leggo lentamente. “È del 19 ottobre 1866! È di due giorni prima del Plebiscito!”
“Vien co mì!” Mi fa Antenore prendendomi per un braccio. Ecco che all’improvviso mi trovo dentro la stanza dell’Hotel Europa affacciato sul Canal Grande.
“Seto Zonta.” Mi dice sottovoce. “En sto hotel i Asburgo, i se gavea impuntà: par lori no xera per gnente corretto consegnar el Veneto diretamente ai so nemici (i Savoia) sensa che questi qua i fose stai boni a vinsare contro de lori gnanca na bataglia. Così i ga deciso, pa farghe dispeto, de pasarlo aea Francia parchè pò i faxese un referendum libaro.”
Appena Antenore termina la frase all’improvviso da un angolo della stanza appare un uomo magrissimo, vestito di nero, che sbraita inviperito. È Giuseppe Mazzini. “È possibile che l’Italia accetti di essere additata in Europa come la sola nazione che non sappia combattere...?” L’ho scritto ne “La Pace” del 1866: la presa del Veneto è stata una vera e propria «elemosina di seconda mano»”.
Dalle mie indagini risulta proprio così: alle ore 7,00 del 19 ottobre 1866 (due giorni prima del Plebiscito) l’Austria passa il Veneto alla Francia che avrebbe poi gestito un libero referendum tra le genti venete. Ma ecco che alle ore 8,00 arrivano due aristocratici veneti: il conte Luigi Michiel ed Edoardo De Betta che si dicono rappresentanti delle terre venete e, non so come, ottengono il passaggio del Veneto dalla Francia alle loro mani. Alle 8,30 però il tal Conte Michiel, in combutta con i piemontesi e contro ogni precedente accordo, fa innalzare la bandiera de i Savoia in piazza San Marco e, manco a dirlo, a tal segnal convenuto arrivano di corsa le truppe del Regno d’Italia che si impossessano della città. E la frittata è così bella che fatta!
Insomma, per una mezzora Michiel aveva avuto tra le mani la possibilità di far rivivere la Repubblica Veneta, la patria che dai tempi delle Crociate i suoi nobilissimi avi (tra cui ben tre dogi) avevano lottato per far brillare in un mondo dominato da Re e Regine. E invece il tal Conte, presa la palla dai francesi e averla passata immediatamente ai Savoia, ripara nella sua bella villa di Bassano e il 6 Novembre, in premio dal suo nuovo Re, ottiene la carica di Senatore... decidendo così di passare alla Storia per quello che è.
Ma poi anche tutti i nodi con i Reali d’Italia sono comunque arrivati al pettine e, come dire, chi di Plebiscito colpisce... di Referendum perisce tant’è che dal 1946, dopo averci infilato in due Guerre Mondiali (e fatto perdere l’Istria Veneta) ora, da “comuni” cittadini, i Savoia possono dedicarsi a far cose più consone alla loro “regali personalità”: come lanciarsi in allegre fucilate tra yatch in Corsica (1978), fare pubblicità di sottaceti “Se vuoi sentirti un re, c’è Saclà”(2002) e pavoneggiarsi con savoir-faire nei vari reality tv.
“Ma adesso in democrazia è diverso.” Mi rivolgo ad Antenore. “Rispettare il volere popolare è un sacrosanto dovere sancito dalla Costituzione Repubblicana del 1947! È il Popolo che decide!”
“Ma va là gnoco!” Mi fa Antenore ridendo. “E de el Referendum stravotà da i Veneti en el 2017?”
Sto per rispondere quando inavvertitamente il braccio tocca il telecomando della tv che si accende all’improvviso. Sullo schermo c’è il tg della sera di Telenuovo con in sovraimpressione il numero dei giorni passati dal giorno del Referendum sull’Autonomia della Regione. “Cinque anni!” Penso tra me di fronte allo schermo. “Sono già passati più di cinque anni! Hai ragione te, caro Antenore, altro che volere popolare: qua da 157 anni non si è mai smesso di rifilarci i soliti, finti, stracotti... tramaccioni all’amatriciana!”

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L'autore

Marco F. Zonta

Classe ’71, bassanese. Laureato in lettere e Arte al Ca’ Foscari di Venezia è uno studioso sfegatato di Storia e Cultura Veneta che da oltre vent’anni idea, crea e sviluppa progetti multimediali (portali e siti web, video sperimentali, documentari, guide cartacee multilingua, libri e riviste) legati al mondo dell’intrattenimento giovanile. Profondo conoscitore dell’Emigrazione Veneta ha vissuto e lavorato per oltre un decennio all’estero mantenendo stretti contatti con le nostre comunità in Australia, Brasile e Argentina e collaborando con diverse Università e Centri Culturali sudamericani. Da un anno ha pubblicato un simpatico libretto illustrato composto da oltre 100 pillole su Storia, Cultura e Tradizioni Venete (on line si trova su www.venetoeveneti.com). Il 1° di marzo, in occasione del Capodanno Veneto (Cao de Ano o Batimarso), Marco inaugura CEA VENETIA wwww.ceavenetia.org, un’associazione culturale che ha come obiettivo far conoscere al mondo l’enorme patrimonio storico-culturale veneto attraverso innovativi progetti multimediali leggeri e comunicativi.