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Intervista a Gigio Alberti

Francesco Bettin
Francesco Bettin
30 agosto 2022
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Intervista a Gigio Alberti
Da pochissimo ha finito una specie di esperimento sul canale Youtube, leggendo in 25 piccole puntate il libro di Federico Baccomo “Ma tu sei felice?”. Gigio Alberti ha voluto proporre così, insieme a Claudio Bisio, una sorta di spettacolo per il pubblico del web in questo periodo forzato di quarantena che ha bloccato lo spettacolo in tutte le sue forme, fino a data da destinarsi. Un dialogo tra due amici, in un luogo che potrebbe essere un bar, ma ognuno a casa sua, con qualche accorgimento per farlo sembrare più reale possibile. Ma Gigio Alberti, ottimo attore di grande esperienza, è ricordato per le numerose parti nei film di Salvatores, a partire da “Kamikazen”, al film premio Oscar “Mediterraneo”, ma anche in film di Paolo Virzì come “Ferie d’agosto”, “Il capitale umano”, e ancora diretto da Bellocchio, Cristina Comencini, Soldini, Brizzi, Laura Morante. Lo si è potuto apprezzare anche in serie tv come “L’ispettore Coliandro”, “Non uccidere”, e a teatro dove da qualche anno recita con grande successo di pubblico e critica in una compagnia affiatata, con Barbora Bobulova, Antonio Catania, Giovanni Esposito, Valerio Santoro e Valeria Angelozzi.

Ciao Gigio, ben trovato e grazie dell’intervista. Complimenti anche per “Ma tu sei felice?” su Youtube, divertente riflessione contemporanea.

In periodi come questo ci sembrava giusto restare sempre vivi, rimanere sempre sul campo in qualche modo, dando uno sguardo a quello che ci ha coinvolti tutti in prima persona.

Hai fatto diverso cinema, e con “Mediterraneo” anche vinto l’Oscar. Che sensazione è stata, e oggi, dopo tanti anni, come la senti? La vivi ancora con emozione quando ci pensi?

E’ una cosa, questa, che principalmente riguarda gli altri, il pubblico che ti segue sempre con affetto, che anche grazie a vittorie prestigiose come questa ti segue ancor di più e con maggior passione. Quindi è certamente una grande soddisfazione che dura, vedere questo atteggiamento affettuoso. Rispetto a me stesso però è una cosa talmente lontana, che sicuramente mi fa avere dei bei ricordi ma non è che rappresenta qualcosa di particolare ancora sulla pelle.

In quei momenti si riesce a rimanere coi piedi per terra?

Secondo me non c’è stata neanche la possibilità di alzarli i piedi da terra, almeno per me, anche perchè sono una persona poco predisposta a fare ciò. Certo, è stata una bella soddisfazione, quella si’, ma niente di più.

E’ vero che hai cominciato a fare l’attore per caso? Che sono stati fondamentali i rapporti personali?

Ogni tanto mi dico da solo che ho avuto fortuna, sono stati proprio degli incontri giusti che mi hanno portato a fare l’attore. Prima Paolo Rossi conosciuto a un corso di mimo, poi Salvatores, conosciuto grazie a Paolo. Ma anche parlando degli anni passati al teatro OutOff, assieme a Lorenzo Loris e Mario Sala. Quell’occasione è stata proprio una questione di rapporti personali coltivati, diciamo. Ho avuto come detto tanta fortuna, che però al tempo stesso non l’hanno avuta tante cose interessanti che ho fatto. Ho cominciato quasi casualmente, dunque senza sacro fuoco della passione come si dice, ma pian piano, sempre di più sono arrivato a fare quello che mi piace molto. E’ un mestiere che amo.

Ma in sintesi si può dire che mestiere è l’attore? E’ autopsicoanalisi entrare nei panni di altri?

Può esserlo, sotto una certa forma. Intanto comunque fare l’attore dà la possibilità di liberarsi di se stessi, e permettersi di sentirsi più leggeri, a volte. Una grossa liberazione. In più ci si permette di fare delle cose, attraverso il personaggio, di fare delle cose che magari nella vita propria non si farebbero, o verrebbe anche voglia di fare ma ci si trattiene. E viceversa. E’ il fascino di questo mestiere. Comunque penso che se si arriva a fare l’attore c’è un proprio ego che spinge, ti vien voglia di proporlo, di imporlo, e da questo punto di vista interpretando più personaggi magari qualcosa ti risolve, ti senti più coinvolto umanamente.

Del tuo ambiente c’è qualcosa che proprio non sopporti, che ti lascia attonito?

Per me, almeno apparentemente, c’è un abbassamento di gusto spesso da parte del pubblico, per cui sembra vada bene tutto. Facendo uno spettacolo poi si vedono solo quelli che ti dicono che gli è piaciuto, gli altri se ne vanno via, o non ti vengono a dire niente per cui fai fatica ad avere il polso della situazione. Mi fa rimanere perplesso anche che non c’è più la vera critica, ma una pochezza di informazione per cui lavorando non hai più lo specchio che avevi anni fa. Magari il critico scriveva cose cattivissime, non faceva piacere di certo beccarsi una legnata però avevi la possibilità di guardarti, migliorarti. Bisognerebbe cambiare un po’ la marcia.

Magari coinvolgendo di più gli studenti, la scuola?

Beh, quello di avvicinare i giovani al teatro è sempre stato un problema, come si sa non sono molti i giovani che vengono a teatro. Non è sempre la questione del caro biglietto, delle volte non è così alto e certe volte gli stessi spendono anche di più per fare altre cose. Lo stesso problema credo ce l’avrà il cinema, se guardi bene le giovani generazioni tranne poche eccezioni, non ci vanno proprio nelle sale. E’ un problema, bisognerebbe ricercare un contatto con le nuove generazioni. Del resto si vede che il cinema si è già spostato verso le serie, che passano attraverso il web. Se guardi gli incassi dei film sono allarmanti.

Cosa ne pensi di un certo divismo che qualche volta si vede tra la gente famosa, di una certa irraggiungibilità dell’attore verso il suo pubblico?

Il divismo è ingiustificato in assoluto. O meglio, può servire in termini commerciali ma secondo me è anche un problema. Ognuno vale per sè, a teatro ad esempio vale molto di più una compagnia affiatata di gente magari neanche così brava come il cosiddetto “nome famoso”, che però costruisce qualcosa, e la propone. Questa cosa è molto più forte del nome unico e importante. E’ una responsabilità che anche i teatri devono prendersi, rischiare di più e non sempre chiamare il nome famoso solo “perchè così la gente arriva”. A lungo andare può creare anche disaffezione, secondo me. Uno spettacolo senza nomi eclatanti può dare anche di più. E il teatro non si può fare facendo contemporaneamente sette o otto cose, ha bisogno di una certa dedizione.

Prima dell’emergenza Covid-19 stavi portando in giro per l’Italia un adattamento leggero e molto divertente di “Anfitrione”, con la compagnia La Pirandelliana, un gruppo, come già scritto sopra, molto affiatato, con bravi attori e presa sul pubblica certa. Continuerete a lavorare assieme? C’è qualche analogia in questo gruppo rispetto a quello storico di Salvatores, di cui hai fatto parte?

Beh, quella formazione di allora partiva già più compatta, eravamo un po’ diversi. Qui ognuno proviene da esperienze varie, però perseguiamo il tentativo di trovare una continuità, di sviluppare un modo ottimale di lavorare. E questo mi piace.

Ultima domanda, Gigio. Il mestiere dell’attore rischia di far restare fuori dalla realtà? O al contrario aiuta per capire meglio delle cose, il proprio paese ad esempio, la gente.

Aiuta nel senso che vedi tante realtà, diverse situazioni e ti rendi conto delle diversità proprio delle popolazioni. abitudini, gusti, comportamenti. Certo già il fatto di essere un po’ nomadi al contrario invece non dà una mano, se vuoi prendere una parte attiva rispetto alla società, alla sua trasformazione, devi essere un po’ ancorato, diciamo che dovresti lavorarci. Il fatto di continuare a girare…non lo permette.

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L'autore

Francesco Bettin

Francesco Bettin si occupa di teatro, cinema, poesia, libri, eventi vicini e lontani, personaggi e interviste. Propone approfondimenti sulla cultura e la società attraverso articoli e interviste a scrittori, giornalisti, attori e artisti.