Intervista a Marco Ugherani
Anna Zaccaria
29 dicembre 2025In un’epoca in cui sembra esistere solo ciò che viene mostrato sui social, c’è ancora chi compie imprese straordinarie senza sentirne il bisogno di raccontarle.
Marco Ugherani, trevigiano di Riese Pio X, è un triatleta e ultramaratoneta: ha completato 25 Ironman di cui 3 finali mondiali, una Marathon des Sables, è un ex elicotterista dell’Esercito, un brillante imprenditore e, dulcis in fundo, possiede una collezione incredibile di mountain bike storiche. Scopriamo come riesce a fare tutto…
Chi è Marco Ugherani?
Penso di essere un amante della vita e delle cose belle.
Quando e come hai iniziato a fare sport?
Ho iniziato a fare sport da piccolissimo. Il primo è stato il tiro a segno: ho iniziato con mio papà, che è maestro tiratore, è stato campione nazionale ed era davvero molto bravo. Per me, però, era uno sport un po’ troppo statico. Nei primi anni ’80 sono passato alla mountain bike ed è stato amore assoluto.
Da allora la bicicletta è sempre stata con me in tutte le sue forme: mountain bike, strada, downhill.
Da 15 anni mi dedico al triathlon (nuoto, bici, corsa) nelle gare Ironman.
Perché fai uno sport così duro?
L’Ironman è l’evoluzione estrema del triathlon: 3,8 km di nuoto in acque libere, 180 km in bici da cronometro senza scia e 42,2 km di corsa. Tutti di fila.
I motivi che mi spingono a cimentarmi in gare così impegnative sono difficili da spiegare. Fanno parte del mio essere. Come sportivo e come imprenditore cerco sempre di pormi obiettivi più elevati, che mi obblighino a migliorare.
La vera soddisfazione non è solo la gara, ma soprattutto tutta la preparazione che serve per arrivare pronto.
Quanto è legata questa passione alla tua formazione militare?
Sono stato arruolato nei reparti operativi dell’Esercito per quasi 18 anni. Nell’Esercito la missione viene prima di tutto: prima la missione, poi la squadra, infine il singolo.
Così è anche per me: nelle gare e nel lavoro l’obiettivo è completare la missione. Se una gara non va come previsto non mollo mai. Cambio piano, sposto la sfida dal fisico alla mente e vado avanti.
Nell’ultimo Ironman, in Malesia, con quasi 40 gradi e il 95% di umidità, stavo male già dopo la prima ora di bici. Ma non ho mollato. E portare a termine quella gara è stata una soddisfazione enorme.
Oltre ad essere un grande sportivo sei anche un imprenditore di successo: con Valeria Pilla guidate l’Agenzia Matrimoniale Club di Più. Come riesci a organizzare tutto?
Io e Valeria abbiamo ruoli molto diversi: lei, con l’aiuto di 10 consulenti, è sempre a contatto con le persone; io mi occupo dello sviluppo degli asset aziendali e della realizzazione dei progetti.
Il mio lavoro non è vincolato all’ufficio: lavoro tantissime ore, spesso in orari improbabili, e posso farlo ovunque, anche durante le trasferte delle gare.
L’organizzazione per me è tutto. Quando ero militare ho coniato una frase: “La riorganizzazione è alla base dell’organizzazione”. Quando i processi sono chiari, l’azienda funziona e cresce.
L’approccio è lo stesso che ho nello sport: dopo ogni gara analizzo ciò che è andato bene e ciò che è andato male. Sono ottimista per natura, e anche quando qualcosa non va come sperato cerco sempre il lato positivo.
Sul web si trovano poche informazioni su di te. Sei un uomo del fare. Oltre allo sport e al lavoro, hai anche una collezione di oltre 200 mountain bike. Come è iniziato tutto?
La passione per la mountain bike è iniziata da ragazzo. Le mtb hanno soluzioni tecniche particolari, molto più complesse delle bici da strada, e forse il mio essere tecnico aeronautico mi ha fatto innamorare di questo mondo.
La fortuna è stata trovare la mtb più iconica al mondo, quella di John Tomac, campione statunitense di cross country e downhill. Da lì è iniziato tutto.
Tutti i pezzi acquistati dopo sono stati scelti per dare vita al museo.
Nel 2017 e 2018 ho organizzato il MTB Vintage Festival, che ha avuto un grande successo. Ci sono tantissimi appassionati desiderosi di conoscere la storia della mountain bike.
Quali sono i pezzi più significativi?
Il museo ha almeno una bici per ogni marchio e nessun modello doppio: se trovo un modello che ho già, lo compro solo se è in condizioni migliori e poi vendo il doppione.
Penso di avere quasi completato la raccolta dei brand: mi mancano una Cunningham e pochi altri marchi, pezzi molto costosi e difficili da trovare.
La “mamma” di tutte le mtb è la Schwinn Klunker del 1976, pesante, robusta, con ruote da 26”, usata quasi esclusivamente per la discesa. Per la difficoltà nel reperirla in condizioni da museo è arrivata solo qualche mese fa, ma era indispensabile per raccontare le origini.
Gli anni ’80 sono dominati da mtb in acciaio come:
Brezeer, Otis Guy, Mountain Goat, Steve Potts, le prime Ritchey, Mongoose, Mantis, Specialized, Gary Fisher, Rocky Mountain, Salsa, GT, Yeti, Kona, Brodie, Fat Chance.
Gli anni ’90 vedono l’arrivo dell’alluminio, con marchi come:
Klein, Funk, American, Cannondale, Haro, Scott, Yeti, GT, Alpinestars, Answer Manitou, Mountain Cycle.
Un capitolo a parte meritano i telai in titanio, comparsi a metà anni ’80:
Moots, Ibis, Dean, Litespeed, Marin, Serotta, Rocky Mountain, Alpinestars, Boulder Bicycles, Fat Chance, Diamond Back, Clark Kent, Nuke Proof, Morati, McMahon, Kona, GT e Merlin.
Se la tua collezione potesse raccontare una storia, quale sarebbe?
Sarebbe la storia più bella del mondo.
La bicicletta rende felici: se ci fai caso, tutti i ciclisti lo sono. La mountain bike ancora di più: ti porta fuori dal mondo, nella natura, è fatica e libertà allo stesso tempo, ed è bellezza pura, sia nei paesaggi sia nelle soluzioni tecniche sviluppate negli anni.
In Italia le mtb americane arrivarono nei primi anni ’80; le prime italiane furono le Cinelli “Rampichino”, tra il 1984 e il 1985. Dal punto di vista tecnico gli Stati Uniti facevano scuola.
L’Italia può vantare grandissimi artigiani nella costruzione dei telai, con cura maniacale nelle saldature, prima in acciaio poi in alluminio e ora in carbonio. Manca però la stessa sperimentazione su geometrie e sospensioni.
Io sono innamorato dei telai in titanio: resistenti, leggeri, elastici, eleganti e affidabili.
Quale arco temporale copre la tua collezione?
Per i puristi, la mountain bike vintage è una bici costruita tra il 1976 e il 1992.
Per me, invece, è vintage una bici con ruote da 26 pollici.
Non ti piacerebbe rendere permanente l’esposizione della collezione?
Questo è il mio prossimo obiettivo. Una mostra permanente permetterebbe a tutti, giovani e meno giovani, di conoscere la storia della mountain bike e vedere da vicino i modelli più iconici.
Sono stato invitato a esporre la collezione all’International Bike Festival di Misano Adriatico: il pubblico è rimasto colpito e i giovani hanno mostrato un interesse oltre ogni aspettativa.
Visita il profilo Instagram @mtb_vintage_museum
Marco potrebbe parlare per ore delle sue imprese e della sua collezione.
A proposito, si sta preparando alla sua seconda Marathon des Sables: un’impresa che racconteremo nei prossimi mesi. Per ora godiamoci gli esemplari presenti in queste pagine, in attesa di vedere presto realizzata l’esposizione permanente.
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L'autore
Mille cose da fare ma non si tira mai indietro, troppo buona ma con grinta da vendere. Amante dei numeri, Anna è una vera esperta delle logiche e stratega del web marketing. Ha maturato una lunga esperienza nella gestione di progetti complessi di comunicazione digitale, mirando sempre alla concretezza e ai risultati.